Piccolo quotidiano

Approfondimenti su Vangelo e religione

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John Baptist

Il vangelo secondo Papa Francesco. La fraternità tra lotta e perdono


Ad una settimana dai funerali di Papa Francesco, dopo aver recepito le molteplici “apologie” e le altrettanto molteplici critiche al suo operato, com’era prevedibile risulta difficile tracciare un bilancio di quanto è stato fatto in dodici anni di pontificato e, soprattutto, delinearne gli aspetti. Il frastuono mediatico proposto come panacea dai teologi “sapientoni” di turno ha prosciugato ogni soluzione sintattica favorendo soltanto la dispersione, invece che la sintesi. Ma il papato di Francesco non sarà semplice da disperdere o da sintetizzare, perché avrà un dinamismo sempre crescente e proporzionato al senso delle fratture controllate con cui ha voluto aprire “brecce” ed “iniziare processi”. La storia non si fa soltanto a spallate; a volte bisogna esercitare una salutare mansuetudine pur di trovare la chiave per aprire porte di sicurezza e guadagnare l’uscita in casi di emergenza. Secondo Papa Francesco: «le prime comunità, immerse in un mondo pagano colmo di corruzione e di aberrazioni, vivevano un senso di pazienza, tolleranza, comprensione» (Fratelli tutti, 239). La rilettura dei testi sacri con occhi innovativi, pur di avvantaggiarsi della loro sapienza e, allo stesso tempo, immergersi nelle problematiche della quotidianità mondiale, gli ha permesso di compilare a puntino l’enciclica “Fratelli tutti”, destinata a cambiare il modo di pensare la vita comune nell’intero pianeta, così come all’interno della chiesa stessa dei prossimi decenni. Continuando in questo senso faceva riflettere scrivendo con acume che: «quando riflettiamo sul perdono, sulla pace e sulla concordia sociale, ci imbattiamo in un’espressione di Cristo che ci sorprende: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa” (Mt 10,34-36). […] tali parole non invitano a cercare conflitti, ma semplicemente a sopportare il conflitto inevitabile, perché il rispetto umano non porti a venir meno alla fedeltà in ossequio a una presunta pace familiare o sociale.» (Fratelli tutti, 240). Aver preso le distanze non solo dal perdono facile, ma soprattutto da quella remissività borghese che lascia da solo chi lotta, quasi buttandolo al proprio destino come un cadavere senza il merito di una degna sepoltura, ha ridato al messaggio cristiano una luce veramente nuova: il respiro divino che gli era proprio, ma che le convenienze della storia a volte hanno ritenuto opportuno soffocare. Da questo punto di vista, il lavoro umile di questo pontificato è stato poca cosa rispetto a quello dello Spirito che gli ha messo in cuore quanto bisognava dire e sulla bocca le parole giuste per insegnarlo come lezione autentica dell’autentico Maestro della Chiesa, Gesù Cristo. Proprio come ha fatto a Nazareth con Gesù, davanti ai suoi amici e conoscenti, in quel momento cruciale della sua vita che gli ha meritato il “disprezzo” della sua gente, quelli della sua patria (cfr. Lc 4,14-30), così ha fatto lo Spirito con Papa Francesco nel corso di questi anni. Perciò Papa Francesco conclude affermando che: «Non si tratta di proporre un perdono rinunciando ai propri diritti davanti a un potente corrotto, a un criminale o a qualcuno che degrada la nostra dignità. Siamo chiamati ad amare tutti, senza eccezioni, però amare un oppressore non significa consentire che continui ad essere tale; e neppure fargli pensare che ciò che fa è accettabile. Al contrario, il modo buono di amarlo è cercare in vari modi di farlo smettere di opprimere, è togliergli quel potere che non sa usare e che lo deforma come essere umano.» (Fratelli tutti, 241). Perchè, al di là di quanto questo passo dell’enciclica abbia da informare rispetto alla politica e alla diplomazia nel mondo, c’è da leggervi in verità il mandato di un conclave che ha eletto Bergoglio in quel marzo del 2013, affidandogli la propria obbediente collaborazione. C’è da ritrovarvi il senso recondito di una manovra pontificia (meritoria o meno: lo dirà la storia) lenta ma decisa a riportare il cammino di tutto un popolo sul senso cristiano della comunione fraterna a tutti i livelli: dal locale al globale, da dentro a fuori la comunità ecclesiale. Così come c’è da leggervi, di riflesso, il resto del cammino da percorrere e che non è soltanto quello che si potrebbe intravedere dalle indicazioni di questo pontificato appena concluso, ma soprattutto quello che non si può prevedere eppure appartiene alla vita di Gesù, al suo vissuto in contrasto o in comunione, senza unilateralismi, e perciò si deve percorrere con identica ed ispirata determinazione. Fuori dalle righe dell’enciclica, il pensiero cristiano di una fraternità autentica richiede a volte che si sospenda il movimento meccanico del «s’è fatto sempre così» a favore di una direzione inedita, magari, ma sicuramente propria del vangelo. Non è stato facile essere popolo di Dio, chiesa e comunità in certi momenti del pontificato di Papa Francesco come sicuramente per lui non è stato semplice governare un popolo che tendeva ad andare pacificamente in una direzione diversa rispetto a quella indicata da Gesù; e, alla fine, anche il cammino percorso finora non sarà certamente vanificato. 

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