
La scommessa odierna supera il valore stesso di una probabile (o improbabile) vincita. La gentilezza praticata a “km 0”, senza orpelli e senza timori, risulta sempre di più un dettaglio del quotidiano: un particolare, senza il quale sembra di vivere più tranquilli. Ma non è così. C’è chi si lascia continuamente attanagliare da morse ‘sociali’, riconoscendo ad esse il legittimo schiacciamento come, ad esempio, il giudizio degli altri; e c’è chi invece si sente libero di andare in giro senza l’abitudine sana del “saluto”: un gesto elegante che fa dell’abitudine un habitus, un vestito sempre nuovo e sempre ordinato con cui presentarsi e, soprattutto, essere presente.
Alla forbice della presenza (se con gentilezza, anche se nella morsa del giudizio altrui o se con indifferenza, anche se libero dal giudizio altrui) ciò che alla fine della giostra si rivela vitale, intenso e fruttuoso è sempre d’obbligo la gentilezza: una scelta categorica che rende la vita un giardino pieno di fiori. L’esempio più vicino è quello legato dal Signor Muniz, un anziano capace di attraversare il “piccolo” quartiere di Palermo in cui risiedeva in lungo ed in largo salutando, fermandosi e stringendo le mani di commercianti e turisti, residenti e viaggiatori. Non era lo scemo del villaggio, e nemmeno il monarca della bontà: semplicemente un libro aperto dal quale leggere e su cui scrivere. Mai un oggetto posato distrattamente in un angolo di un habitat sperduto; bensì un animo vivente in grado di rilevare la vita attorno se non addirittura suscitarla (o resuscitarla). Un Gesù moderno passato con attenzione e presenza tra le vie di uno sperduto angolo di vita per abitarlo e restituirlo al tempo: la destinazione più naturale che si ha. Sì, il tempo; già. Il tempo: l’altro. L’Altro.



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