Piccolo quotidiano

Nato il 15 agosto 1917 e assassinato il 24 marzo 1980, Mons. Oscar Romero con la sua storia di uomo di Dio dedicata alla propria gente vessata dalla dittatura militare, allora come oggi, fa da spartiacque in un mare di “ipocrisie”.

La storia non fa sconti e quando è il tempo a consegnare all’opinione pubblica i “veri” elementi su cui fare chiarezza, è un privilegio rimanere lucidi fino alla fine delle chiacchiere. Sull’operato di Mons. Romero, ai tempi, fu veramente difficile godere di un privilegio del genere, dal momento che subito venne incolpato di essersi fatto trascinare dagli entusiasmi politici e militari a cui dava accesso una certa teologia cosiddetta “della liberazione”: una teologia che imponeva riflessioni serie, concrete, operative e immediate per incarnare e vivere il vangelo in un contesto intriso di violenza e corruzione.

Accadeva allora, come accade oggi. Cambiano le dittature; sembrano più evolute nelle forme e nei costumi e non si avvalgono della forza militare che direttamente infligge punizioni sproporzionate attraverso le armi. E, nonostante i venti di guerra soffino ancora oggi (giusto per non perdere le “buone” abitudini), ovunque si è ormai sempre più sotto il fuoco dei social che, senza colpo ferire, miete vittime. Ci sono voluti decenni per togliere dal volto pensieroso di Mons. Romero quel velo d’ombra che il pregiudizio clericale gli aveva dipinto addosso ritenendolo uno dei tanti teologi “eretici” vittima solo di sè stesso; e solo nel 2018 si è riconosciuto universalmente l’altissimo valore eroico della sua scelta. Tuttavia dentro le comunità religiose del nostro tempo, oggi, “scegliere” i poveri rimane un privilegio tanto quanto quello di restare liberi di pensare lontano dai pregiudizi e dalle ipocrisie delle dittature social; e il vero martirio non è più soltanto di sangue, ma anche altro.