Piccolo quotidiano

Approfondimenti su Vangelo e religione

E soltanto il dire
Silenzioso e quieto
Dedicò ogni fiato
al vivere umile nel tempo


John Baptist

Le domande che riverberano paure. “Chissà se Dio si sente solo” di Ligabue (dall’album “Dedicato a noi”)

Il mood è importante in un brano e l’inizio di Chissà se Dio si sente solo rispetta gli standard a cui siamo abituati: suono d’organo, mistero, riflessione, Dio, la solitudine, i desideri dell’anima. I tempi in cui si scriveva Hai un momento Dio? sono distanti, ma Ligabue non ha perso la bella abitudine di fare domande perchè, alla fine, nessuna domanda è banale. Le paure che si rincorrono dentro un acceleratore di particelle al ritmo di sei semplici crome suonate con un piano elettronico su un tappeto di organo e sinth hanno qualcosa di sacro e di elegante insieme, all’inizio del brano. Le chitarre eccentriche di un tempo lasciano il posto alle chitarre ritmiche e, al limite, agli arpeggi con chorus&echo; se ne sentono diverse e ognuna ha un suo posto, ognuna esprime qualcosa. Ligabue le ascolta mentre canta e mentre arpeggiano con effetti lunghi per dare respiro “misterioso” al testo; la sua voce non le copre mai anzi, le asseconda e con quel suo timbro graffiante ne fa il verso mentre le immagini di diverse persone sole per la troppa compagnia o per i pensieri che hanno in testa scorrono di continuo. Alla fine, piuttosto che il piano elettronico e le sei crome, dopo i cori che sovrastano i punti interrogativi, ogni provocazione malinconica è soffocata chiudendo sull’ultima battuta in pieno, strumenti e voce. Nell’insieme dell’album, in tutti gli 11 brani, le paure ritornano, soprattutto quella della solitudine come in “La metà della mela”, ma la parola “paura” è presente soltanto in questo brano e per ben 11 volte. Coincidenza o cosa?

L’articolazione del testo segue il filo conduttore della vita, che dopo il Covid ha ripreso scandendo sempre di più i tempi di solitudine dai tempi di comunità e condivisione. Il volto sereno di Dio, così per come illustrato dal catechismo della religione cristiana, non piace all’artista di Correggio, perciò con un pò d’ironia, ma senza neanche scherzarci troppo, in fondo si chiede se ha capito bene oppure c’è qualcosa che gli sfugge in fondo. Può Dio restarsene lì a guardare, a fissare un vuoto, il tempo e lo spazio della gente, sempre più desolato e isolante? Può Dio non provare un pizzico d’indignazione mentre si muore di solitudine, molto di più che di epidemie?

Luciano vorrebbe uscire fuori dalle righe e affacciarsi a guardare tutti mentre canta le sue domande anche fin troppo vere; preferisce, però, rimanere anche lui impassibile e – almeno per il momento – non commentarsi, non raccontarsi più di tanto e non coinvolgersi. Eppure sarebbe stato bello risentire, alla fine del brano, quel suono d’organo e i synyh a far da tappeto al piano elettronico con le sei crome in primo piano. Magari ci si sarebbe immedesimati maggiormente nel disincanto di chi ha bisogno di vedere Dio “veramente” nel “giorno di dolore che uno ha” ormai trasformato in una sincera condizione di vita, più che in un tempo di passaggio.

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