
Questi sono tempi di connessioni e di relazioni “veloci”, istantanee: deboli. Abbiamo preso consapevolezza soltanto adesso, dopo il Covid 19, che ci serve qualcosa di molto più stabile, un luogo, un contesto e un paradigma completamente nuovo per declinarci in condivisioni necessarie; e abbiamo veramente un’urgenza (più che una priorità): ritrovarci.
Ecco perchè l’istituzione comunemente riconosciuta nella famiglia e, in un secondo momento, nello stato si stanno sgretolando lasciando che la simpatia si sostituisca all’empatia e l’etnos prenda il posto del dèmos. Ci ritroviamo e decidiamo di stare insieme se ci facciamo simpatia, magari poi mettiamo su famiglia e allarghiamo i cerchi degli affetti con disinvoltura provando a spingerci sempre oltre, rischiando l’instabilità e poi, magari, chiudendoci a riccio per mesi e anni quando qualcosa va storto e ci scottiamo. Ci sentiamo anche in diritto di portare avanti le nostre paure sui valori della patria e della religione e mentre definiamo “invasione” ciò che ci costringe a ricollocarci nelle nostre piazze, nelle nostre città e nella nostra Costituzione, prepariamo più o meno velatamente una guerra ideologica contro un nemico “oscuro”.
Finirà che ci sentiremo minacciati anche dai bambini, dagli eroi e dagli innamorati. Torneremo sempre più convinti a brandire le nostre lingue come spade e tutto il resto del mondo diventerà un pianeta “contro”. A meno che….
A meno che non ci fermeremo.
A meno che non ci guarderemo negli occhi per conoscerci reciprocamente. Prima l’altro. Poi io.
A meno che ci farà sempre più gola e piacere condividere storie, emozioni, paure, collocandoci in “comunità”: senza improvvisazioni magari, ma con spontaneità; senza sensazionalismi forse, ma con responsabilità e impegno.
La lezione del nazareno è chiara: dalla patria, da Nazareth, per gli altri viene sempre qualcosa di ambiguo. Da un lato, una minaccia; dall’altro una speranza. Chi aspettava la restaurazione di un nuovo Regno d’Israele si è trovato dinanzi alla scelta di tradirlo e consegnarlo agli invidiosi, oppure di “ascoltarlo” come fosse un altro: semplicemente un altro diverso da sè. Niente è scontato ma, soprattutto, nessuno è gratis. Sono tempi di fiducia preziosa, tempi di fiducia da conquistare come veramente può fare un bambino in una casa nuova: esplorazione e collocazione, tra sorrisi stupiti e curiosità continua. Abbiamo bisogno di riprenderci per mano: noi e il bambino che ci vive dentro.
Dal Regno alla comunità (2): la messe è sacra

C’è una passione irresistibile per la vita e per tutto ciò che si dedica ad essa che muove l’anima verso il sacro, come le mani di un musicista sopra lo strumento con cui versa nel suo spazio e nel suo tempo ogni forma di pensiero inespresso fino ad allora. E c’è un fattivo evolversi delle più minuscole e primordiali sensazioni di verità che agitano benevolmente il cuore quando il sacro affiora dalle cose e, soprattutto, dalla storia. La dimensione orizzontale dello sguardo mai si allinea con ciò che è conforme, abitudinario e usuale; preferisce il nuovo, meglio: l’originale. Gli occhi dello spirito non scartano, bensì prediligono e si dedicano; perciò la sacralità, nella sua forma più genuina, è “invisibile agli occhi”, direbbe la volpe al piccolo principe, ma non allo spirito e all’anima. Eh sì, perché la compiacenza del vivere affascina lo sguardo e spinge oltre l’orizzonte, mentre il piano premeditato si affina e la novità scandisce il tono della bellezza del vivere. Il parlare del maestro di Nazareth è ad una svolta: la missione dei “tirocinanti” sta per cambiargli la vita e tutto ciò che, fino ad un attimo prima, era stato ogni orizzonte lecito e sensibile, sta per trasformarsi di fronte alla sovrabbondante necessità di una “messe”, dice lui. Un lavoro, un impiego e una “sacra” destinazione che sa di persone, di uomini e donne, di gente comune, nel suo linguaggio fino a quel momento: «pecore senza pastore». In che cosa si trasformerà il presente vissuto insieme ai dodici può aver avuto tanti nomi e tanti volti, ma a noi non è dato conoscerli. Sicuramente, però, di quelle storie di ammalati e di poveri è rimasto un effluvio così sacro che farebbe battere il cuore anche ad un morto, tremare i polsi anche al musicista più esperto e scivolare nell’abisso il poeta più abile di profondità ed interiorità. La gente e quella stupenda visione di un insieme, anche se sbandato, sconvolge gli occhi del nazareno e, senza dubbio, il suo sguardo dall’orizzonte comincia a considerare l’altezza e la profondità, sia verso il cielo che verso la propria stessa anima. Dalla gente al cielo, dalle persone all’intimo di sè. Il sacro e la sacralità del vivere mai dimentica l’origine soprattutto quando è prossima la destinazione. L’altro.


Lascia un commento